Negli ultimi decenni, molte aziende italiane hanno delocalizzato le proprie attività IT (sviluppo software, gestione infrastrutture) verso paesi come India, Cina o altre destinazioni extra-europee. Oggi, dopo anni di globalizzazione e offshoring massiccio verso l’Asia, le aziende italiane hanno iniziato a rivalutare il reshoring, ovvero il ritorno dei processi aziendali nel proprio paese d’origine, come strategia competitiva e di sostenibilità operativa.
Questo dato di fatto è una risposta pragmatica agli evidenti problemi concreti emersi dall’offshoring tradizionale (come ritardi, qualità scadente del codice, rischi di compliance GDPR, perdita di controllo IP), poiché i modelli di reshoring offrono d’altro canto qualità, flessibilità e protezione garantita.
Reshoring e offshoring
Per anni l’offshoring è stato visto dalle aziende come la scelta più razionale, prevedendo costi orari più bassi, grandi numeri di sviluppatori disponibili e la possibilità (in teoria) di essere operativi quasi 24 ore su 24. Oggi molte imprese italiane stanno scoprendo che quel risparmio non è poi così sostenibile.
Osservando i progetti di sviluppo, si nota che proprio nei casi di offshoring si concentrano ritardi, bug ricorrenti e incidenti riguardanti la sicurezza. In parallelo, la normativa è diventata più pressante: gestire i dati sensibili e le proprietà intellettuali al di fuori dall’Unione Europea espone a responsabilità legali che non si possono più ignorare o minimizzare.
Il nuovo reshoring in ambito IT non coincide con il concetto di produrre tutto in-house (convinzione comune negli ultimi 20 anni). Oggi è un modello più selettivo, riferito a quelle aziende che riportano in Italia le parti strategiche di piattaforme e servizi, spesso per affidarle a partner locali tramite un outsourcing strutturato.
Tre convinzioni da smontare
Nel momento in cui si decide di localizzare nuovamente le risorse nel proprio territorio, basandosi sul modello di reshoring, è normale che emerga qualche obiezione, da affrontare sempre e comunque con lucidità.
1. Reshoring = assumere un nuovo team interno
Per molte attività di sviluppo, riportare le risorse in Italia significa implementare un nuovo team interno. Questo implica l’avvio di un processo di selezione lungo e oneroso, la gestione di eventuali turnover e dei percorsi di carriera. È comprensibile che una direzione generale, posta davanti a questo scenario, veda soprattutto il probabile aumento dei costi fissi.
In realtà, il reshoring moderno passa da modelli molto flessibili: outsourcing, staff augmentation e team-as-a-service sono degli esempi ormai comuni. Non ha più molto senso distinguere tra team “interno” o “esterno; ciò che bisogna considerare è la difficoltà di gestire intere squadre di sviluppo delocalizzate (offshoring) rispetto a un team fisicamente vicino, appartenente allo stesso contesto normativo e culturale. Riportare lo sviluppo in Italia può voler dire continuare a usare l’outsourcing, ma con sviluppatori inseriti in un framework di collaborazione chiaro, senza doversi occupare direttamente di ricerca, selezione e payroll.
2. Rispetto all’offshoring, il reshoring è sempre più caro
Altra convinzione, che si basa su scelte prese senza uno studio approfondito, è che il costo di uno sviluppatore all’estero sia più basso di quello di un senior italiano, quindi il reshoring non può che costare di più. Il problema è che in questa analisi ci si ferma alle tariffe, ignorando il quadro generale.
Se si guarda al costo totale di un progetto, si può notare come i paradigmi cambino. Alle giornate spese a rincorrere chiarimenti sui requisiti si sommano il coordinamento extra (magari dovuto ai diversi fusi orari dei developer), il refactoring di funzionalità non testate prima della consegna, i ritardi che ti fanno perdere vantaggio sul time-to-market. Tutte queste voci non compaiono mai nel preventivo del fornitore offshore, ma finiscono comunque a pesare su budget e ricavi.
Un modello di reshoring IT basato sull’outsourcing italiano parte da tariffe più alte, ma riduce in modo drastico rework, ritardi e overhead di gestione. A parità di risultato, il delta economico reale spesso è molto più contenuto di quanto sembri, soprattutto se si considerano gli incentivi fiscali e i minori rischi legali.
3. Scegliere tra reshoring rigido e offshoring rischioso
La terza obiezione riguarda l’idea che esistano solo due estremi: o si riporta tutto in casa costruendo un team intero completo, oppure si mantiene l’offshoring sperando che i problemi citati non si presentino.
Il reshoring in ambito outsourcing introduce una terza via più pragmatica. Le competenze restano esterne all’organico, ma il partner lavora nel tuo stesso fuso orario, sotto le stesse regole del GDPR, parlando la tua lingua e con livelli di controllo sulla qualità molto più alti. Il risultato è un modello ibrido: il controllo, la strategia e il product management rimangono interni; la capacità di esecuzione e la scalabilità vengono affidate a un team esterno italiano che puoi aumentare o ridurre in base al carico di lavoro.
Come cambia il modello operativo
Una domanda che ci si potrebbe giustamente porre è: come usare il reshoring per migliorare realmente delivery e qualità in ambito sviluppo?
Il primo passo è quello di mappare l’attuale perimetro dei propri progetti IT. Avere un quadro chiaro di quali sono i sistemi ritenuti core per il business, quali sono in mano a fornitori offshore e dove si concentrano i problemi relativi a bug, i ritardi e gli incidenti di sicurezza permette di capire quali sono le aree critiche che coincidono con quelle delocalizzate. Proprio qui il nuovo modello può generare un impatto maggiore.
Il secondo passo è quello di scegliere il partner giusto. Nel mercato attuale, molte sono le aziende che inviano semplicemente profili, molte volte non verificati in fase di assunzione. La scelta deve ricadere su soggetti che sappiano integrare i propri sviluppatori nei processi aziendali, lavorare su basi di codice non perfette e introdurre in modo sistematico pratiche come test, pipeline CI/CD e controlli di sicurezza. In un percorso di reshoring ben impostato, la qualità del codice e la stabilità nell’ambiente di sviluppo migliorano man mano che il team prende in carico moduli e servizi.
Il terzo passo è la governance. Passare da un modello di offshoring a un assetto fondato sul reshoring senza definire i ruoli, le cadenze di confronto e i KPI, significa rischiare di replicare gli stessi problemi. Ha più senso definire subito degli indicatori chiari e usarli come base di discussione costante con il partner. La differenza, rispetto all’offshoring, è che con un team situato in Italia questi obiettivi possono essere discussi in tempo reale e senza barriere linguistiche, con una capacità di correzione di rotta molto più rapida.
Riportare i processi IT in Italia
Il timore più diffuso è che cambiando fornitori, che siano in Italia o all’estero, si provochi un fermo macchina ai progetti esistenti. Questo è, in teoria, un rischio effettivo, ma solo quando il passaggio non viene eseguito correttamente.
L’approccio più solido è quello di affrontare il cambio gradualmente, partendo da progetti pilota o da aree specifiche. Il nuovo partner di outsourcing italiano lavora in parallelo al team del fornitore per un periodo definito, imparando il metodo di lavoro e introducendo strumenti di monitoraggio e test, oltre che effettuando interventi mirati nel codice.
Quando il team locale si è allineato con le politiche aziendali, si può iniziare a estendere il perimetro del reshoring: altri servizi, altre componenti, fino ad arrivare a una situazione in cui tutto ciò che è strategico viene gestito in Italia, mentre l’eventuale offshoring residuo si concentra su attività marginali e a basso rischio.
Una nuova normalità dell’outsourcing
Se analizziamo i trend, possiamo rilevare che il reshoring non riguarda più pochi casi isolati, ma quasi uno standard, soprattutto se abbinato all’outsourcing. Tante sono le organizzazioni che cercano così di ridurre volatilità e incertezze, ma anche di costruire relazioni di lungo periodo con partner che lavorano nel loro stesso contesto culturale e normativo.
La questione principale, per l’azienda che deve decidere dove avviare i suoi prossimi progetti digitali, consiste nel capire quale quota delle proprie attività IT abbia senso riportare in Italia e con quale modello. È proprio questa combinazione tra reshoring mirato, outsourcing locale e attenzione alle specifiche dei singoli progetti che determinerà chi potrà godere di un vantaggio competitivo significativo dei prossimi anni.



