Quando un’azienda decide di sviluppare un software su misura, spesso si concentra sugli aspetti più tecnici, come i linguaggi di programmazione da utilizzare, l’infrastruttura cloud, o l’architettura. Eppure, il primo punto da considerare non riguarda in realtà la tecnologia, ma la logica aziendale che quel software dovrà rappresentare. Capirla, formalizzarla e tradurla in requisiti concreti è il compito dell’analista funzionale, una figura essenziale per la riuscita di qualsiasi progetto.
Analista funzionale: cosa fa
Il lavoro dell’analista funzionale comincia prima che venga scritto anche solo una riga di codice: analizza i processi interni, individua le inefficienze, raccoglie le esigenze degli utenti e costruisce un modello funzionale che descrive come il software dovrà comportarsi per rispecchiare la realtà operativa.
Ad esempio, se un’azienda chiede di sviluppare un gestionale per la produzione, l’analista funzionale osserva come vengono gestiti oggi gli ordini, quali sono i passaggi critici e quali dati vengono scambiati tra reparti. Su queste basi, costruisce un documento di requisiti funzionali che guiderà sviluppatori e designer nella realizzazione del sistema.
Il “traduttore” dei processi
In ambito IT sono tante le figure che fungono da intermediari tra business e tecnologia, ma l’analista funzionale si distingue per il suo punto di vista: non traduce linguaggi, traduce processi.
Se il Project Manager coordina persone e scadenze e il Cloud Architect sceglie l’infrastruttura più adatta, l’analista funzionale entra nel dettaglio delle regole operative che governano il lavoro quotidiano dell’azienda.
È il professionista che verifica il funzionamento dei flussi e la coerenza del sistema rispetto all’organizzazione della specifica azienda.
Le differenze con le altre figure IT
Per comprendere fino in fondo cosa fa l’analista funzionale, vale la pena metterlo a confronto con altre figure:
- Project Manager: gestisce la pianificazione del progetto, le risorse, il budget e le tempistiche. L’analista funzionale, invece, definisce cosa dovrà essere sviluppato e come dovrà comportarsi il sistema per soddisfare i requisiti di business.
- Cloud Architect: decide dove e come il software sarà ospitato, analizzando scalabilità, sicurezza e performance. L’analista funzionale non interviene sull’infrastruttura, ma si occupa di definire le logiche funzionali su cui dovrà basarsi.
- Data Scientist: lavora sull’analisi e l’interpretazione dei dati già esistenti. L’analista funzionale, al contrario, definisce quali dati devono essere raccolti e come devono fluire nel sistema per generare valore.
È importante fare questa distinzione poiché, in molti progetti software, è proprio la mancanza di un analista funzionale a creare incomprensioni tra business e team tecnico, con il rischio di sviluppare funzionalità tecnicamente corrette ma inutili per l’organizzazione.
Competenze chiave
Il tratto distintivo dell’analista funzionale è la capacità di “pensare” per processi. Non serve solo una buona conoscenza tecnica, ma una visione sistemica del lavoro aziendale.
Le sue competenze coprono diverse aree:
- Analisi e modellazione dei processi con strumenti come UML e BPMN;
- Conoscenza del dominio aziendale, per comprendere dinamiche e priorità del cliente;
- Capacità di scrittura e documentazione, per redigere specifiche chiare e condivisibili;
- Competenze comunicative, per facilitare la collaborazione tra stakeholder e sviluppatori.
A queste si aggiunge un’attitudine alla logica e alla sintesi: deve riuscire a ridurre la complessità mantenendo un alto livello di precisione, creando un linguaggio comune che tutti possano comprendere.
Il suo ruolo nello sviluppo software
Durante la realizzazione di un progetto, l’analista funzionale è una presenza costante. Dopo la raccolta dei requisiti, supporta gli sviluppatori nella traduzione delle specifiche in codice, chiarisce eventuali ambiguità e aggiorna la documentazione man mano che il progetto evolve.
Nella fase di test, si assicura che ogni funzionalità rispecchi i casi d’uso previsti e che il software risponda ai reali bisogni operativi. Anche dopo il rilascio, continua a svolgere un ruolo di raccordo, validando gli aggiornamenti e proponendo miglioramenti basati sul feedback degli utenti.
Perché l’analista funzionale è una figura strategica
In un progetto software, l’analista funzionale garantisce che il codice rifletta la realtà aziendale, senza distorcerla.
La sua presenza riduce revisioni, ambiguità e costi di correzione, ma soprattutto permette di costruire un software che funzioni bene nel contesto in cui sarà usato.
In parole povere, costruisce le logiche su cui si baserà il progetto: disegna il modo in cui un’azienda pensa, lavora e decide, e lo trasforma in un sistema digitale capace di sostenerla nel tempo. In un mercato in cui tecnologia e processi si intrecciano sempre di più, la sua figura resta una delle più strategiche per chi vuole sviluppare soluzioni software solide e sostenibili.
Capire cosa fa un analista funzionale significa riconoscere l’importanza del disegno dei processi prima ancora della scrittura del codice. Che si tratti di un team interno o in outsourcing, la sua presenza è ciò che garantisce coerenza, efficienza e, soprattutto, un software realmente utile per chi lo richiede.